L’intervento terapeutico che viene programmato per la psicoterapia breve strategica non dipende direttamente dal motivo per il quale il problema che deve essere risolto si è presentato, ma parte dalla comprensione delle modalità in cui il problema stesso è organizzato, anche per verificare se ne siano coinvolti altri. Quella che viene messa in pratica è la cosiddetta tecnica del dialogo strategico, che assume la forma di un momento al tempo stesso conoscitivo e di diagnosi. Tanto il paziente quanto il terapeuta hanno, infatti, la possibilità di scoprire in che modo è strutturato il disagio.
Ne abbiamo parlato con il Dott. Giorgio Ioimo, Psicologo a Firenze, quello che segue è un riassunto di quanto è emerso dalle risposte alle nostre domande.
La resistenza al cambiamento
Si tratta di pianificare un primo passo risolutivo che agevoli l’individuazione del primo scopo che deve essere conseguito in modo da non essere penalizzati dalla resistenza al cambiamento, che pure sarebbe fisiologica. Gli interventi terapeutici che sono contemplati da questa forma di psicoterapia non si basano su rigide teorie prestabilite e immutabili, ma si caratterizzano per una notevole flessibilità: essi, in altri termini, sono in grado di adattarsi alle risorse particolari del soggetto e alle sue peculiarità uniche. Tutte le patologie vengono considerate come equilibri disfunzionali che sono autoalimentati da circoli viziosi per mezzo di quelle che vengono definite tentate soluzioni: sono i tentativi che il paziente ha messo in atto per cercare di risolvere il problema ma che in realtà hanno avuto l’effetto opposto a quello desiderato e hanno finito per aggravarlo e renderlo più complicato.
Come funzionano gli interventi terapeutici
Un intervento terapeutico strategico si basa su manovre che hanno il fine di concludere un sistema circolare disfunzionale, il cui posto deve essere preso da un sistema circolare equilibrato, in funzione delle potenzialità e delle necessità del paziente. Nelle prossime righe faremo alcuni esempi in parte tratti dal libro Psicosoluzioni di Giorgio Nardone, insegnante e luminare in fatto di Psicoterapia.
Il panico e le fobie
Di fronte a una persona che soffre di paure incontrollate e che ha a che fare con fobie e attacchi di panico, la strategia terapeutica che si deve adottare consiste nel comprendere se il disturbo sia correlato a una ossessione o a una paura. Nel caso in cui vi sia paura alla base, la strategia prevede di assegnare un compito al paziente, in modo che egli possa essere distratto ma che al tempo stesso si esponga alla situazione che vuole evitare. Quando c’è il coinvolgimento di un familiare, al paziente deve essere spiegato che la patologia si aggrava tutte le volte che avanza una richiesta di aiuto.
La paura di uscire da soli
Non sono rari i casi di persone che temono di subire attacchi di panico quando si trovano fuori casa e quindi hanno il terrore di uscire da sole: per questo si fanno accompagnare ogni volta che ne hanno la possibilità. Il terapeuta può prescrivere a un paziente di questo tipo di uscire di casa e di svolgere un certo compito nel corso del tragitto (per esempio eseguire una piroetta ogni tot passi). Il soggetto svolge il compito in modo efficace.
La presenza dei familiari
Le persone che devono fare i conti con fobie non giustificate, con attacchi di panico o con eccessi di paura nella maggior parte dei casi sono sostenute dai propri cari. In tali circostanze, però, i familiari e gli amici che forniscono il proprio aiuto in realtà non fanno il bene del soggetto malato, ma anzi risultano complici della sua patologia. Se la persona interessata sa che sarà sempre accompagnata da qualcuno quando uscirà da sola, non sarà più in grado di cavarsela in modo autonomo. In altri termini, tutte le volte che viene chiesto aiuto e che tale aiuto viene offerto, i problemi si aggravano. Non si tratta di rinunciare alle fobie, ma di riflettere su come esse agiscano.
Un altro esempio
Si ipotizzi il caso di un uomo che teme di essere attirato dagli specchi e che questi gli facciano sbattere il naso. Il terapeuta potrebbe consigliarli di utilizzare un casco; il paziente, uscendo di casa per andare ad acquistarlo, si imbatte in vari specchi nel proprio percorso, ma nessuno di questi lo attrae a sé. Così, egli capisce che è possibile seguire una vita normale, senza timori e senza danni. L’esecuzione di un certo compito sposta il focus dell’attenzione del soggetto, che non si concentra più sulla paura da controllare.
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